Per qualcuno è troppo, per altri troppo poco. La pace fiscale arriva in commissione Finanze al Senato e il percorso si preannuncia accidentato. Solo venerdì scorso è stata Carla Ruocco, presidente pentastellata dell’altra commissione Finanze, quella della Camera, ad annunciare che il decreto fiscale (il Dl 119/2018) «dovrà essere modificato». Molte delle sue disposizioni, ha detto insieme al senatore Elio Lannutti, «sono contrarie ai nostri valori». Aria opposta a quella che si respira dalle parti della Lega, che ha voluto la pace fiscale e punta, se mai, a migliorarla nell’iter parlamentare.

 

Il tutto mentre i professionisti e i cittadini evidenziano - giorno dopo giorno - incertezze, storture o situazioni paradossali generate dal decreto. Molte di queste emergono anche dalle domande inviate al Forum online del Sole 24 Ore.

Prendiamo il caso dei cosiddetti avvisi bonari. Di per sé non sono sanabili, ma chi ne ha ricevuto uno dal Fisco nei mesi scorsi e l’ha ignorato, ora potrà rottamare la cartella esattoriale che ne è scaturita. Chi, invece, ha scelto di pagare e ha rateizzato l’importo contestato, non potrà sfruttare la pace fiscale neppure per le somme ancora dovute. Per non parlare di chi ha saldato il conto in un’unica soluzione, anch’egli beffato. È una situazione analoga a quella in cui si trova chi oggi sta pagando le rate in seguito a un accertamento con adesione già definito (si veda l’articolo a destra).

 

Un altro problema già evidenziato dal sondaggio tra gli operatori è l’entità dello sconto per chi ha un processo in corso con il Fisco (si veda Il Sole 24 Ore del 15 ottobre). Come si vede nelle simulazioni in queste pagine, il problema riguarda soprattutto chi si è visto dare ragione dal giudice. Facciamo l’esempio di una società cui il Fisco ha contestato imposte non versate per 93.500: anche se ha vinto il processo di secondo grado, per chiudere la lite dovrebbe comunque pagare 18.700 euro d’imposta (il 20%), oltre a farsi carico delle proprie spese legali (10mila euro nella simulazione). E tutto solo per evitare il giudizio in Cassazione.

 

C’è poi il caso-limite di chi si trova già oggi ad aver versato più di quanto gli costerebbe chiudere la lite sfruttando la pace fiscale, ad esempio perché ha perso la causa in secondo grado (ultimo esempio a destra). Il decreto prevede che si conteggino le somme già pagate «a qualsiasi titolo», ma non si rimborsi l’eccedenza. Con il che l’incentivo a chiudere la lite senza andare in Cassazione si attenua parecchio. È un piccolo autogol, se è vero che tagliare le liti fiscali davanti alla Suprema corte - letteralmente esplose negli ultimi anni - è uno degli obiettivi dichiarati della pace fiscale, come ha detto nei giorni scorsi, tra gli altri, il sottosegretario leghista all’Economia, Massimo Bitonci.

L’equilibrio andrà trovato in fretta, perché il termine attualmente previsto per il deposito degli emendamenti in Commissione è mercoledì della prossima settimana (7 novembre). Nel pacchetto delle modifiche dovrebbe esserci anche l’operazione “saldo e stralcio” delle cartelle, inserita nell’intesa di dieci giorni fa, con cui Lega e M5s hanno dato il via libera al decreto dopo il primo stop e il “caso-manina”.

Bisogna anche vedere come evolverà la più generale partita della manovra 2019, tra aumento dello spread e richieste europee di modifiche. In questo scenario, la pace fiscale è solo uno dei capitoli e neppure il più delicato.

Da il sole 24 –di Cristiano Dell'Oste e Giovanni Parente